bullismo omofobico

Il bullismo omofobico è l’insieme dei comportamenti offensivi messi in atto dal gruppo dei pari nei confronti di un bambino o ragazzo, in quanto ritenuto gay, lesbica, bisessuale o transessuale. E’ quindi un problema legato all’omofobia.

Le aggressioni possono essere verbali o fisiche, e sono dirette verso l’orientamento sessuale, ma anche verso ragazzi che non presentano le caratteristiche tipiche del genere, quindi maschi effeminati o femmine mascoline. Le persone possono essere colpite anche solo perché hanno un congiunto con un orientamento non eterosessuale.

Le aggressioni verbali possono essere derisioni, insulti, scritte sui muri, minacce, fino ad arrivare a violenze fisiche vere e proprie.

Per quanto riguarda le ricerche sulla diffusione del fenomeno, una delle più recenti è quella realizzata in Friuli Venezia Giulia nelle scuole superiori, dalla quale è emerso che più del 43% degli studenti ha assistito ad atti di bullismo omofobico, oltre il 30% dichiara di aver subito aggressioni omofobe verbali o fisiche, più del 10% di aver compiuto atti omofobi.

Peculiarità del bullismo omofobico

Rispetto ad altre forme di bullismo, quello omofobico presenta varie peculiarità:

Le conseguenze

Le conseguenze per le vittime sono numerose:

Lingiardi riporta che gli adolescenti gay, lesbiche, bisessuali, hanno una tendenza al suicidio maggiore rispetto ai coetanei eterosessuali. Il rischio di suicidio è doppio e, in alcuni casi, come nei bisessuali, quasi triplicato. Determinante è l’aver subito atti di bullismo, ma anche il sapere che la famiglia rifiuta che il figlio sia gay. Secondo un’indagine realizzata da ricercatori della Sapienza di Roma, il 30% delle persone gay e lesbiche ha una moderata ideazione suicidaria (rispetto al 16% degli eterosessuali), ma nel 3% l’ideazione è severa (contro l’1 % degli eterosessuali).

 Il ruolo della scuola

Visto che buona parte degli atti di bullismo si svolge in ambito scolastico, il ruolo della scuola può essere determinante.

Un esempio significativo è quello di una ricerca svolta nel 2007 nelle scuole inglesi, da cui è emerso che circa due terzi degli studenti gay e lesbiche era stata vittima di atti di bullismo, ma è emerso pure che il 50% degli insegnanti non rispondeva al linguaggio omofobico che ascoltava in classe,  e solo il 25% delle scuole aveva preso una posizione di aperta condanna del bullismo. Studi successivi hanno messo in luce che il 90% degli insegnanti non aveva alcuna preparazione sul problema e sulla relativa prevenzione.

La scuola, dunque, potrebbe svolgere un ruolo determinante rispetto al problema, e in tal senso la formazione del personale scolastico è basilare.

Un insegnante può cogliere i segnali che qualcosa di negativo si sta verificando, che in classe non c’è un clima sereno, e prestare attenzione ai ragazzi che hanno difficoltà a venire a scuola o che mostrano segni di disagio; può imparare a parlare apertamente del problema, cosa che spesso non avviene, perché anche gli insegnanti possono non sapere come affrontare l’argomento. Tra l’altro, è proprio a loro che i ragazzi si rivolgono più facilmente, dato che parlare in famiglia può spesso essere assai più difficile.

Come spiega  V. Lingiardi, i fattori protettivi sono un clima familiare sereno, il senso di sicurezza a scuola, la possibilità di contare su adulti affettuosi, che rispettino il percorso di coming out.

Importante è anche il lavoro con le famiglie, che le aiuti a capire a capire cosa è il bullismo omofobico, cosa vive il ragazzo che ne è vittima, e come essergli di aiuto e sostegno.

Riferimenti bibliografici

. Lingiardi V., Nardelli N.  ” Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay, bisessuali”, il Saggiatore 2014

V. Lingiardi,  “Citizen gay”, Raffaello Cortina 2016

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